Detransitioner in aumento, i disforici di genere chiedono tutela

Detransitioner in aumento, i disforici di genere chiedono tutela

Avvertire il bisogno di appartenere al sesso opposto e decidere con fermezza di intraprendere il percorso verso la transizione che comporta una serie di interventi complessi sia dal punto di vista psicologico che fisico: visite e incontri con specialisti per attestare la reale sussistenza del disturbo, la disforia di genere, o se il malessere derivi da altri fattori, sociali e familiari ad esempio. Di frequente accade però che molti adolescenti, in preda alle titubanze proprie dell’età, sono indotti ad intraprendere la strada della transizione senza che effettivamente rispecchi la loro necessità.

Alcuni bambini sono disforici sin dalla più tenera età, ma col passar del tempo giungono a trovarsi ad agio col proprio corpo. Alcuni sviluppano la disforia al momento della pubertà, ma la loro sofferenza è temporanea . Altri finiscono per identificarsi come non-binari, cioè né maschi né femmine. Ignorare la diversità di queste esperienze e concentrarsi solo su coloro che sono effettivamente “nati nel corpo sbagliato” può fare danni. Questa è l’argomentazione di un piccolo ma assertivo gruppo di uomini e donne che hanno attuato la transizione, solo per tornare poi al sesso assegnato. Molti di questi cosiddetti “detransitioner” sostengono che la loro disforia era causata non da una profonda non corrispondenza fra la loro identità di genere e il loro corpo, ma piuttosto da problemi di salute mentale, traumi psicologici, ambienti misogini o combinazioni di questi e altri fattori. Dicono di essere stati spinti verso interventi con ormoni o chirurgia dalla pressione dei coetanei o da medici che hanno trascurato altre potenziali spiegazioni del loro disturbo»

I numeri più recenti indicano un aumento esponenziale delle persone che negli Stati Uniti si identificano come transessuali: secondo il William Institute della Ucla School of Law, nel giugno 2016 si dichiaravano transgender 1 milione e 400 mila adulti, ai quali andavano aggiunti (dato riferito al 2017) 150 mila adolescenti fra i 13 e i 17 anni. Questo significherebbe un raddoppio del numero dei transgender americani in soli 10 anni. 

Queste poche righe racchiudono e descrivono il destino di milioni di ragazzi che hanno cambiato sesso e se ne sono pentiti. Il percorso di “detransitioner”, ovvero tornare al sesso di identificazione, è oggi intrapreso da molti che giovanissimi sono stati indirizzati verso una realtà a cui non sentono di appartenere. E’ la storia di Keyra Bell che a soli 15 anni è stata convinta di voler essere un uomo. Ma anche di Max Robinson, racconta di essere stata diagnosticata depressa e affetta da disordine ansioso generalizzato a 14 anni. Dell’eccesso di trattamenti per la transizione sono responsabili sempre più anche i genitori dei minorenni con disforia di genere: in passato rappresentavano l’elemento frenante e “negazionista”, oggi invece pretendono azioni immediate. Scrive Singal, giornalista The Atlantic : «I genitori di mentalità progressista possono talvolta essere un problema per i loro bambini. Molti degli operatori con cui ho parlato, compresi Nate Sharon, Laura Edwards-Leeper e Scott Leibowitz, mi hanno raccontato dell’arrivo di nuovi pazienti nelle loro cliniche insieme a genitori che avevano già sviluppato dettagliati piani per la loro transizione. “

Esiste a Londra una clinica del servizio sanitario nazionale specializzata nel cambiare sesso ai bambini. Si chiama Tavistock, fa parte del Servizio di Sviluppo dell’Identità di Genere (Gids), e negli ultimi anni ha visto crescere in modo esponenziale i bambini che, entrati al proprio interno di un sesso, ne sono usciti percorrendo una strada farmacologica per ottenere il sesso opposto. Non sempre con grande soddisfazione. Ne è testimone Keyra Bell, la detransitioner più famosa al mondo:

Le conseguenze di quello che mi è successo sono state gravi: probabile infertilità, amputazione del seno, impossibilità di allattare, genitali atrofizzati, cambio della voce, peluria sul viso. Quando mi hanno visitata alla clinica Tavistock avevo così tanti problemi che mi sembrava rassicurante convincermi di averne uno solo da risolvere, ovvero quello di essere un uomo intrappolato in un corpo femminile. Era compito dei professionisti che si stavano occupando di me considerare tutte le mie comorbidità invece di assecondarmi nella mia ingenua convinzione che per farmi sentire meglio sarebbero bastati gli ormoni e la chirurgia. La mia squadra legale ha sostenuto che Tavistock non aveva protetto i giovani pazienti che si erano rivolti alla clinica e che, invece di prendersi cura di ogni caso con trattamenti cauti e mirati, ci avevano usato per condurre dei veri e propri esperimenti incontrollati. “

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