L’era delle partite iva sembra volgere al termine: in soli due anni, dall’inizio della pandemia ad oggi, si registra una riduzione di 321.000 unità,( 5.194.000 unità, numero che adesso si è ridotto a 4.873.000, con un -6,2 %)traducendosi in un aumento di lavoratori dipendenti: con riferimento allo stesso periodo, la platea si è allargata a 34 mila unità, con un +0,2 %. Complici le restrizioni necessarie per arginare la diffusione del virus, l’impennata dei costi dovuti all’inflazione ed al caro energia, alle tasse e, ovviamente, al calo dei consumi. Anche il costo degli affitti ha influito notevolmente. Lo shopping online ha inferto un colpo decisivo: questi anni di chiusure e restrizioni hanno portato ad un maggior ricorso all’e-commerce, arricchendo le grandi compagnie di distribuzione ed impoverendo i piccoli negozi. Alcuni esercenti riescono ancora adesso a sopravvivere ma molti, purtroppo, hanno dovuto cedere.
Va segnalato comunque che il declino della partite iva ha inizio già da qualche anno prima che arrivasse la pandemia. Dal 2015, infatti, il picco massimo di numerosità era stato toccato nel giugno del 2016, quando questi microimprenditori avevano raggiunto quota 5.428.000. Successivamente c’è stato un tendenziale declino fino a raggiungere il minimo storico toccato nel dicembre scorso: 4.873.000 unità. Va anche notato che, con l’avvento del Covid, nei primi sei mesi del 2020 il numero di lavoratori autonomi e dei dipendenti è crollato.
Cosa fare dunque? Gli esperti di Cgia provano a dettare una tabella di marcia: “Abbassare le tasse, rilanciare i consumi e ad alleggerire il peso della burocrazia è necessario, in particolar modo nell’artigianato, rivalutare il lavoro manuale perché negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa”. È necessaria una vera e propria rivoluzione per far ripartire un sistema ormai in crisi.