L’acuirsi del conflitto tra Ucraina e Russia prospetta in Europa scenari preoccupanti che minano la futura stabilità di fruizione dell’energia, un timore concreto quello degli italiani, che potrebbe rivelarsi un incubo il prossimo inverno se le intenzioni e i piani di Putin dovessero precipitare. Dunque, le preoccupazioni non riguardano l’immediato presente quanto più i mesi successivi, ed è per questo che il governo Draghi accelera sull’adozione di misure che tutelino i consumi e gli approvvigionamenti del Paese.
GAS RUSSO, PRONTI ALL’ADDIO?-Il conflitto con la Russia, per quanto riguarda le importazioni italiane di gas, ha inizio anni prima, raggiungendo il picco nel 2006 per poi calare dell’8-9% nei successivi 15 anni. Mentre nei primi anni Duemila la quota russa copriva circa un terzo dei consumi nazionali di gas, ora siamo arrivati quasi a metà (45%), per un volume complessivo che supera i 30 miliardi di metri cubi all’anno. Il piano designato dal governo nel consiglio dei ministri del 28 febbraio illustra una serie di provvedimenti, a partire dall’aumento delle estrazioni di gas italiano, che potrebbero essere ampliate da 3 a 6 miliardi di metri cubi all’anno. In breve, l’ennesima crisi energetica causata oggi dall’aggressione del Cremlino potrebbe essere un valido motivo per provare a disintossicarsi dal gas russo.
MISURE INCONSISTENTI-Passando la misura all’analisi, si rivela però poco significativa, perché le riserve estraibili del nostro Paese sono circa 90 miliardi di metri cubi, ovvero poco più di quello che l’Italia consuma in un anno. Per affrontare ogni possibile scenario, nel decreto si autorizza anche l’adozione di misure coercitive “per la riduzione della domanda di gas previste in casi d’emergenza”. L’alternativa utile quindi si configura nel razionamento. Ma anche questa soluzione, secondo Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, potrebbe non essere salvifica : la valutazione invece di altri rigassificatori, oltre ai tre di cui l’Italia già dispone, potrebbe seriamente essere d’aiuto per affrontare l’emergenza. Così come il potenziamento del Tap, il gasdotto che fa arrivare in Puglia il gas dall’Azerbaijan e che è stato finalmente messo in funzione, dopo essere stato ostacolato per anni. “Solo con queste nuove infrastrutture- conclude Tabarelli– che ci consentano di importare gas da altri fornitori, potremo stendere una rete di salvataggio che non ci lasci scoperti in futuro, quando avremo da fronteggiare altre impennate del satrapo insediato al Cremlino.”
IL NIET SULLE CENTRALI A CARBONE-L’utilizzo delle centrali a carbone restano pertanto un’utopia, secondo il ministro Cingolani in primis, la messa in funzione non varrebbe la spesa, senza contare poi l’immane e dannoso contributo della messa in funzione sull’ambiente. Secondo il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) redatto dal Ministero dello Sviluppo Economico a dicembre 2019, infatti, le centrali termoelettriche a carbone dovranno essere dismesse o convertite in centrali a gas naturale entro la fine del 2025. Ma a questo punto tutto è in discussione. L’Italia intende accelerare la transizione dai combustibili tradizionali alle fonti rinnovabili, promuovendo il graduale abbandono del carbone per la generazione elettrica a favore di un mix elettrico basato su una quota crescente di rinnovabili e, per la parte residua, sul gas. Questa trasformazione, epocale, passa dalla programmazione e dalla realizzazione degli impianti sostitutivi e delle necessarie infrastrutture. Solo nell’anno 2021 l’Italia , dalle centrali a carbone, ha prodotto circa il 4,3% del fabbisogno elettrico italiano, un valore che rappresenta circa il 4,9% della produzione totale netta di energia elettrica italiana.